
Lo straniero dell’Etna – Frank Cornelissen
Sono gli ultimi giorni del mio itinerario alla scoperta del territorio etneo, giorni bellissimi, giorni faticosi, ma soprattutto giorni in cui ho davvero appreso molto, sia dal punto di vista professionale che da quello umano. Visitando le varie cantine, da molte persone ho sentito parlare di questo belga, Frank Cornelissen, arrivato sull’Etna all’inizio del nuovo millennio alla ricerca del luogo “ideale” per cominciare l’attività di vitivinicoltore, o più semplicemente di agricoltore. Già arrivava da questo settore, ma non è questo che ora ci può interessare; quello che mi interessa è parlarvi della persona per provare a farvi comprendere il suo lavoro. Mentre mi trovavo alle pendici del vulcano, molti produttori ed enoappassionati mi chiedevano < Sei stato da Frank? > Io rispondendo di no, scatenavo in loro una sorta di risata gustosa, facendogli aggiungere < Beh, dovresti andare da Frank
Domando scusa se comincio questo articolo con tutto questo parlare di impressioni personali, ma se di alcune cantine è meglio parlare solo del vino, per altre bisogna dare un peso maggiore a differenti valori. Ed in questo caso sono principalmente due: l’uomo ed il territorio!
Voglio dirlo subito, vale davvero la pena andare a trovare quest’uomo, ma attenzione: tanto è una persona educata e disponibile, tanto si può rivelare spigoloso. E’ un comunicatore e sa dosare ogni singola parola che esce dalla sua bocca e, credetemi, vorrebbe lo stesso da chiunque gli parli.
Oggigiorno si tende a classificare qualsiasi cosa, azione e persona, ma provare a farlo con Mr. Cornelissen, non so, mi mette una certa paranoia e sentirei di sbagliare comunque.
Biologico o biodinamico hanno per lui un significato dovuto a profondi studi e riflessioni: il primo lo indica come parte della strada da intraprendere, mentre non condivide appieno il secondo. Se volete sapere il perché andate a trovarlo e chiedeteglielo di persona, io non sono arrivato fin qua per fargli questa domanda, ma per capire quali sono le SUE scelte e non quelle degli ALTRI.
La sua prima scelta ricade sul Nerello Mascalese, vitigno autoctono da sempre presente su questa terra; tutte piante coltivate ad alberello, acquisite recuperando parte di quei vecchi vitigni che rischiavano di scomparire dopo l’abbandono agricolo avvenuto nei decenni addietro. Per lui l’Etna è un territorio unico nel suo genere e bisogna conoscerlo per poterlo rispettare, come dargli torto?
Segnatevelo: unico! Ma non per questo migliore, semmai differente.
L’unico trattamento applicato in vigna è quello composto da rame e zolfo secondo necessità, niente più niente meno, nessuna concimazione e rese molto basse per alzare la qualità dell’uva, ma questo non è l’unico accorgimento. Nei giorni di vendemmia, che variano tra la metà di ottobre e la metà di novembre (e oltre), avvengono diversi passaggi manuali, al fine di raccogliere l’uva a perfetta maturazione; sicuramente un lavoro dispendioso in tempo ed energie, ma garante della qualità ultima. Nel momento in cui Frank comincia a parlare del valore del territorio etneo, comincia anche ad usare i gesti proprio come farebbe un italiano per aggiungere enfasi alle proprie parole.
<< Al primo posto c’è sempre il territorio, al secondo c’è l’interpretatore, in questo caso io>> Mi dice.
La sua autocriticità lo ha portato spesso a declassare i suoi vini, proprio perché in certe annate non avevano espresso il territorio. Lui è un artigiano del vino con una filosofia ed una tecnica sua. E qui, mentre parla, una sensazione mi raggiunge: sapete quando si dice “non cambi idea fino a quando non sbatti la testa contro il muro”. Ecco. Secondo me, lui, con la testa, sarebbe capace di abbatterlo il muro.
Ma continuiamo. La fermentazione dei mosti avviene al piano superiore della cantina solo per mezzo del lavoro dei lieviti indigeni e lunghe macerazioni; dopodiché, per caduta, il vino passa al piano inferiore in vasche di vetrocemento ed in anfora, dove possiamo dire che comincia il suo affinamento, senza l’aggiunta di qualsiasi altro prodotto: citazione tra l’altro riportata anche su tutte le sue etichette. Nessuna aggiunta di solfiti, nessuna chiarifica e nessun filtraggio pre e durante l’imbottigliamento. Di certo, un’altra caratteristica che potrete notare in cantina, è l’assoluta assenza di botti di legno, una scelta dettata dal desiderio di non voler corrompere l’anima vulcanica dei suoi vini.

Il suo primo vino l’ho bevuto al ristorante Cave Ox a Solicchiata, piccolo paese proprio vicino alla sua cantina a Passopisciaro, grazie al generoso consiglio dell’oste Sandro. Ancora prima di avvicinare il naso al bicchiere, mi sono soffermato sulla linea stilistica della bottiglia: vetro trasparente ed un’etichetta che personalmente mi piace molto, con un chiaro richiamo all’arte del sol levante, essenzialista e minimale, con un disegno stilizzato del vulcano e più in basso, proprio sul fondo e scritto in piccolo, ecco il nome di Frank Cornelissen.
Al vino viene dato il nome “Contadino” ed è un blend di diverse contrade ed età, principalmente Nerello Mascalese con una piccola percentuale di altri vitigni autoctoni a bacca rossa e bianca. Al naso ha chiari profumi di frutta rossa e del suolo minerale, con una parvenza affumicata; al palato presenta un’energia densa, una beva piacevole ed un gradevole sentore di amarena che persiste in bocca.
Apro una parentesi importante: se avete la convinzione che tutti i vini mutino le proprie caratteristiche una volta imbottigliati, forse è tempo di fare qualcosa per cambiare idea. Non parlo di anni d’attesa in bottiglia, spero sia ovvio, ma di un breve periodo di sosta. Comunque non sono qui per spiegarvi gli stati riduttivi, stabilizzanti, dell’aggiunta di solforosa o del filtraggio all’imbottigliamento, non sono né un tecnico né un enologo, suggerisco solo che dovreste passare meno tempo con i gomiti sui banchi delle degustazioni ed un po’ più di tempo a contatto con la cantina. Chiusa parentesi.
Detto questo, introduco gli altri vini degustati, tutti da Nerello Mascalese in purezza, i quali arrivano nel mio bicchiere direttamente dalle vasche dove stanno riposando.
Il MunJebel Feudo di Mezzo, sottozona Sottana, arriva dall’omonima contrada di cui ho già avuto il piacere di provare altri vini. Il fatto è che si tratta di una contrada vasta e sarebbe possibile suddividerla in più sottozone a seconda dell’origine del suolo. Così come il “Contadino”, ha questa anima densa che non faticherei a definire come una sensazione liquorosa di frutti rossi, ma nonostante questo suo muscolo energico, è un vino fine ed elegante.
L’altro vino della contrada di Feudo di Mezzo assaggiato è della sottozona di Porcaria, annata 2014: ha un’anima più vulcanica, minerale, più rotondo e persino più elegante del precedente. E’ un vino che riporta 15,5 % di volume alcolico, ma non lo direste mai; il corpo, la struttura, l’alcol, persino i tannini, sono tutti elementi ben integrati nel bicchiere, senza una sensazione più acuta dell’altra. Davvero un ottimo vino!
Per concludere, degustiamo il “Magma”, il cru di contrada Barbabecchi, un vigneto di oltre 100 anni, franco di piede, e vino di punta dell’azienda Frank Cornelissen. Non è semplice raccontare questo vino, dovreste berlo per poterci intendere meglio: nudo, profondo, muscoloso, fine! Non parliamo di profumi, parliamo di come si presenta al palato, di quello che lascia. Un vino molto persistente, capace di aggrapparsi e di ritornare per volersi fare bere ancora. Tutto chiaro, vero? Come no…
Cosa vi consigliavo prima? Di lasciare perdere i banchi di degustazione e di concentrarvi di più sulla cantina. Bene, spero voi vogliate accettare il suggerimento, così da cominciare un sincero viaggio alla scoperta di ogni più tenue sfumatura della parola Vino, e del suo significato più vero.
Io personalmente, ho impiegato un paio di giorni a metabolizzare la visita da Frank Cornelissen, una visita la mia che sicuramente mi ha portato a riflettere e che mi ha aiutato a comprendere meglio questo settore a me tanto caro. Thank you Mr. Frank…
Insomma signori, mettetevi in viaggio…